Tinder ai tempi della reunion #2

Dicono che sia come incontrare qualcuno in un locale, qualcuno che ti colpisce e attaccarci bottone.

No, non è così.
Ci si illude che sia così per giustificare quanto sia umanamente triste l’era che stiamo vivendo e la solitudine della nostra età, ma non venitemi a dire che Tinder è “come un pub virtuale”, che io sono abbastanza vecchia da ricordare com’era essere single negli anni in cui si usciva il sabato sera.
Quando con la Poliziotta e con MaryPoppins presidiavamo il bar centrale per capire “dove andava la gente”, quando finivamo in quella discoteca a gonfiarci l’autostima perché c’erano le “tardone” trentacinquenni e noi ci sentivamo delle gran gnocche, quando ci dicevamo “figurati se da vecchia tornerò qui”, convinte che un verso lo avremmo preso prima o poi.

“Guarda invece che roba…”

Io che un verso l’avevo preso, adesso che ho passato i trentacinque da un pezzo, sono finita su un enorme postalmarket per incontrare qualcuno in questa provincia desolata, per finire poi con il frequentare solo chi è qui di passaggio.

E quando si esce a cena tra “ragazze”, puntualmente, si ricordano i bei vecchi tempi andati, quando si facevano chilometri, quando si usciva sempre e solo allo scoccare della mezzanotte, quando ci si ubriacava col Tagatà, cocktail inventato da me, una combinazione letale di gin, coantreau e vodka alla pesca, si ballava fino all’alba “e quella sera che una mucca ci tagliò la strada” è l’unica cosa che tutti ricordiamo vivamente, in una sorta di allucinazione collettiva.
Oddio, ci sarebbe anche quella sera che beccai la Poli a pomiciare con un tizio nella saletta, col duetto di Fausto Leali e Luisa Corna in sottofondo…quello sì che fu un trauma.
O quella notte in cui con Arale ci mettemmo tre ore a tornare a casa perché io non guidavo e lei era troppo sbronza, ma avevamo pogato tutta la sera al ritmo di  System of a Down ed eravamo felici di fermarci ogni dieci minuti a vomitare.

Di tutti gli incontri fatti nei locali ne ricordo bene solo due: La Guardia e Coso.
Con la Guardia era una serata moscia, non avevo nessuna voglia di uscire, né di ubriacarmi, tanto meno di ballare.
Tuttavia lui si avvicinò al tavolo a salutare MaryPoppins e attaccó la chiacchiera.

Finimmo in pista e improvvisamente il dj scleró, mischiando il revival di Raffaella Carrà col lentone dei Tiromancino “il mio pensiero vola verso te”, scattò il bacio e per sei mesi non ci fu altro che lui, nel cuore e nella testa.

Ci infrattavamo ovunque, ci mandavamo sms di uno sdolcinato andante e invece di dirgli “ti amo” gli dicevo di non limitare i sentimenti con le parole, capito sì quanto ero deficiente?
Ad un certo punto lui si stufò di me, che stavo sempre a dire che volevo viaggiare e sentirmi libera e mi mandó a cagare… così iniziai a pianificare il mio viaggio con il cuore a pezzi.
Il Coso invece lo incontrai al pub, sempre con la Mary Poppins, ci fermammo al tavolo di questi ragazzi, passammo due ore a raccontarci tutto, lui era proprio il mio tipo, simpatico, alternativo, carinissimo.

Poi scese dallo sgabello e mi arrivava al mento. Per fortuna sarei partita per l’Irlanda due mesi dopo.
Per il resto, gli incontri erano facce e casualità…

-“ieri sera hai pomiciato con l’uomo più cesso del mondo”-

-“Ma dai…a me pareva un figo della Madonna”-

-” No, Norma ti giuro che era proprio brutto!”- 

-“Ma chi era?”-

-“Era quello che abita lì e lavora là”-

-“Ah, ok.”-

E segnavo sulla mappa i posti da evitare per i prossimi quindici anni.
Erano queste le conversazioni con le amiche del giorno dopo, quando avevo ventun anni.

Questo era incontrare qualcuno in un locale, e per inciso non si andava mai oltre la pomicitiana, a meno che non fosse il secondo incontro.
Tinder è proprio tutt’altra cosa.

-“Ma scusa, mi stai dicendo che se ci fossimo incontrati al bar non saresti finita a letto con me?”-

-“Ti pare possibile avere la conversazione che abbiamo avuto questa settimana in chat in un incontro casuale? Dai…tu saresti passato per un morto di figa e io per un’affamata di prima categoria”-

Questo era Quellocolcappello.

-“Ma io sono convinto che ti avrei avvicinata”-

-“Sono troppo alta e robusta per te”-

Questo era L’Artista.

-“Certo che avrei attaccato bottone!”-

 
-“Sì ma io non ti avrei dato corda”-

Batteria Scarica.

L’Offensivo non l’avrei nemmeno considerato e GeorgeBest lo conoscevo già, a malapena ci salutavamo se ci incrociavamo.

Ted Mosby magari lo avrei incontrato al parco, ad aprire l’impermeabile davanti alle panchine, quindi sarebbe in galera per oltraggio al pudore.

EtaBeta frequenta posti e gente troppo altolocata per i miei standard…Ma quando mai!

Quindi in questo il postalmarket ha i suoi pro e i suoi contro.
Non mi stupisce che adesso il bar centrale, quello dove andavamo da giovani a vedere dove si spostava la massa, chiuda alle 23.00. La gente non esce più, non escono nemmeno i ragazzi, non sanno dove andare.

E certe domande in fondo è meglio non farsele… dove avrei potuto incontrare Etabeta se non ci fosse stato Tinder?

Come avrei potuto giocare con lui a farci domande a membro di segugio senza farmi prendere dalla paura per quella voce cavernosa?

E lui mi avrebbe notata? Dove sarei io se quella Domenica non avessi letto quell’articolo di Aranzulla?

Forse non starei così male, adesso che quel niente è finito.
Sì, avete capito bene, salutate EtaBeta che si accinge a sparire da codeste pagine.

È stato incredibile, mi ha fatto del bene, mi ha fatto ridere, mi ha regalato anche delle belle emozioni, mi è mancato, è tornato e se ne è andato.
Se non ci fosse stato Tinder non lo avrei mai incontrato e anche per questo un motivo ci sarà…non era destino.
Fa male? Non così tanto.
Non come con La Guardia, anche se in quel caso a partire ero io, a voler essere libera ero io.
Nella nostra prima conversazione EtaBeta mi disse che gli davo l’impressione di agire sotto traccia, ed io, modestamente, sono una maga nel tenermi tutto dentro.
Ho tenuto botta con gli avvertimenti, i non amarmi, i fuochi di paglia spenti e riaccesi, il giocare a fare la coppia ad orologeria, e mi stava bene, giuro, figurati se va a finire che mi innamoro!
ma qualcosa inevitabilmente cambia quando mi arrivano segnali contraddittori ed è un bene che lui abbia accettato quel lavoro all’estero.
Ho quasi quarant’anni.
Lui ne ha qualcuno in più.
Non possiamo divertirci per sempre, magari un giorno ci rivedremo ma per ora, per ora l’unica cosa da fare è ascoltare quel vuoto lasciato… piccolo, per carità, ma esistente.
Quindi ho deciso di vivermi il lutto.
Sì, cercherò solo conversazioni stimolanti in questo postalmarket, spiegherò che sono in una fase di “temporeggiamento”, che ho bisogno di star sola, che non sono delusa ma è giusto che mi lasci alle spalle una persona a cui voglio bene, piano piano, come è giusto che sia, senza fretta.

Prima cosa: evitare come la peste l’orbiting su Facebook… c’è questa roba che nel momento in cui ti liberi di qualcuno, quel qualcuno ti appare costantemente nella home.

Togliere l’amicizia pare brutto, perché in fondo non si è litigato, perché alla fine come faccio a non sapere che combina? Ma dai, ha messo il cuore sulla canzone che mi fa pensare a lui, allora mi pensa ancora! E guarda un po’ mi mette il like alla nuova foto del profilo, allora sono stata speciale, tòh! mi ha taggato in un post di Kotiomkin! allora…allora che? Allora niente.

Mi manda un meme su Whatsapp, un meme inoltrato a me e ad altri centocinquanta contatti, non significa nulla, non è una conversazione, non è niente, rispondo con un’emoticon e ciao.

Seconda cosa: tenere la testa impegnata.
Iniziare un libro, una serie tv nuova, vedere gli amici di sempre, concentrarsi sul lavoro.

Terza cosa: sostituire il sesso con lo sport, continuare a prendermi cura di me, uscire sempre vestita bene e truccata. Lo devo fare per sentirmi bene con me stessa, non perché c’è un uomo.

Quarta cosa: evitare di incontrare quelle persone che mi ispirano poco e nulla, o peggio ancora le persone tossiche e nocive.

Certo…sembra facile.
Infatti eccomi che vado in paranoia se non mi mette il like, se lo vedo online su Whatsapp alle due di notte, sobbalzo se mi manda un messaggio per poi scoprire che è l’ennesima vignetta politica inoltrata e allora mi spertico per trovare una risposta distaccata e pertinente, mi butto a sentire canzoni tristi su spotify, così, per tenere la testa impegnata, senza fare altro, fumando e controllando le sue playlist per capire se mi pensa.

Chatto con un paio di tizi, uno maniaco salutista che vende tisane e si veste da santone, che nella vita fa “il viaggiatore solitario”, capello lungo e faccia che puzza d’incenso, mi scrive “sarei curioso di conoscerti in un contesto particolare, incontriamoci a Varsavia”.

Poi c’è il Marinaio Confidente che prima vuole che gli racconti la mia vita e poi così, di punto in bianco mi chiede se voglio diventare la sua schiava sessuale sottomessa.

E io mi chiedo cosa devo fare per trovare una conversazione decente con una persona che non si debba per forza mettere in mostra.

Vedere gli amici senza stressarli con le mie pippe mentali? Bella idea, finisco a ritrovarmi in un contest virtuale contro il Drugo in cui cerchiamo a tutti i costi la canzone più deprimente della storia.

Devo iniziare il libro, ma non lo apro nemmeno, potrei iniziare una serie tv ma finisco a riguardarmi “how I meet your mother”, vado a correre sì, ma poi mi mangio un hamburger di brontosauro con contorno di patatine e mezza crostata, esco in tuta, col cappello in testa per evitare di dovermi lavare i capelli, mi schiaccio i brufoli e visto che ho finito il dentifricio mi lavo i denti con la pasta d’acciughe.

Sblocco e scrivo a Ted Mosby.
Vado a pranzo fuori con Onassis.

“Sì, ho fatto bene a stilare la lista dei buoni propositi per infrangerli tutti…”

È questo quello che penso mentre lo ascolto blaterare di quanto sono stata irrispettosa nei suoi confronti a mettere quello status mentre canto con Etabeta, che lui, a differenza mia, non metteva le sue foto con Jackie sui social per non ferirmi…(non certo perché Jackie si vergognasse di lui!), di come il nostro matrimonio fosse comunque destinato al fallimento, del suo malcontento e del fatto che trova assurdo che io gli dica che non voglio più vederlo, che due persone che SI CONOSCONO come noi non debbano più incontrarsi.

-“Guarda, davvero io faccio una fatica immane perché ogni volta che ti vedo, anche se penso di essere preparata al peggio, puntualmente fa male”-
-“Ma male cosa? Lo so che il modo in cui ci siamo lasciati è stato drastico ma tu adesso stai bene, no? Hai una relazione…”-

E secondo lui tutto si risolve così. Lui mi vede così. Che solo se ho qualcuno sono felice.
È questa l’immagine che trasmetto di me? Di una persona che non sa stare sola, perennemente alla ricerca di surrogati d’amore per affrontare la solitudine?

Vedi  caro Onassis, io non ho una relazione, e non te lo dico perché appena mi hai visto in uno status con EtaBeta hai pensato subito di minacciarmi di chiedere la revisione degli alimenti.
Io non ho più una relazione perché devo imparare a stare da sola.

Devo prepararmi a non spezzarmi in due, a non annullarmi per nessuno a smettere di usare gli altri per specchiarmi e riflettere quella che vorrei essere, che sia per un pomeriggio passato con uno che non sa come mi chiamo o per sei mesi dentro una bolla occasionale in cui il mondo fuori non esiste. Io vorrei per una volta sentirmi amata come voglio essere amata e amare come voglio amare…e solo tu, tu solo mi hai fatto sentire così.

Non è vero che ci si sente completi solo quando si sta insieme con qualcuno, ci si sente completi quando si sta bene anche da soli, ho letto un giorno sull’oroscopo di Rob Brezsny che la felicità è quando non si vorrebbe essere altrove, quando non vorresti fare altro e quando non vorresti essere qualcun altro… e capperi se non c’entrava una cippalippa con l’oroscopo ma non credo di aver mai letto niente di più vero.

E io tredici anni fa, poco prima di incontrarti su quell’ aereo, mi sentivo così.
E adesso, ogni volta che ti vedo è come se il passato fosse ancora presente, come se quell’innamoramento folle non fosse mai avvenuto, perché non ho saputo gestire l’amore che ti ho dato, non hai saputo darmi quello che volevo, rimane solo il rivangare, il rinfacciare, il tradimento e la repulsione.

Lui avvicina la mano alla mia guancia, quel gesto innato, che c’è da sempre, mi scanso, ci guardiamo a lungo negli occhi. Dove sei? Quando sei diventato Onassis? Perché non ti riconosco? Perché questo tentato buffetto mi dà così fastidio?

-“Non mi toccare! non farlo mai più”-

-“Io penso che l’amore non esista”-

E questa sua affermazione è di nuovo una lama che affonda nel cuore.

-“Come puoi dire una cosa del genere a me e pensare di poter venire a casa mia di domenica mattina a trovare i cani? Come puoi pensare che io abbia voglia di cuocerti una bistecca perché tu sei a dieta, come puoi pensare che mi faccia piacere rivederti, fare un brindisi, sopportare questi silenzi imbarazzanti?”-

-“Io voglio venire a trovare i cani, loro non vivranno per sempre e mi mancano, casomai mi lasci le chiavi ma vorrei rivedere anche te”-

-“Facciamo così, ti manderò foto dei cani, te ne manderò tante. E potrai venire a trovarli ma non tutti i mesi, non quando ci sono anche io.”-

-“È assurdo!”-
-“No. È così che deve essere un rapporto normale tra due persone che si sono separate.”
“Io peró voglio sapere come stai”-
-“E tu? Tu come stai? Hai dei rimpianti?”-
-“Solo di non averti lasciato prima, di aver fatto le cose in fretta, di aver bruciato le tappe…”-
-“Stai di nuovo rinnegando di esserti innamorato di me, hai idea di quanto sia brutta questa cosa?”-
-“Perché non mi ricordo più niente”– ride,- “lo sai che sono rincoglionito!”-.

Apprezzo il fatto che abbia cercato di camuffare la mazzata finale con una battuta del cazzo.
Anzi no.
Come sarebbe stato se non ci fosse stato quell’incontro in volo?
Se banalmente, ci si fosse aperto un match su Tinder e mi avesse scritto una minchiata a caso, una di quelle “a buchi invertiti” come direbbe Regina, una battuta così tremenda da sembrare una scorreggia fatta con la bocca.
Forse lo avrei lasciato in attesa infinita, forse non gli avrei nemmeno risposto, avrei cancellato la compatibilità.

-“Allora ci rivediamo… forse tra sei mesi”- 

-“Cerchiamo entrambi di guardare avanti”-

Nessun contatto.

A debita distanza.

Non voglio buffetti sulla guancia.

Rientro in casa. Di nuovo la porta, i piccoli che mi vengono incontro e quella sensazione.

Il battito che accellera, la voglia di spaccare tutto e la forza che si pietrifica.

“Come è andata?”-

-“Un…uno ssssschi…fo”-

-“Ho fatto la torta cocco e cioccolato, vieni a prendere il caffè?”-
La Crista.

-“Se non disturbiamo veniamo anche noi”-
Regina.

-“Se vogliamo prendere una pizza stasera, vengo giù anche io”-
La Clara.

-“Se mi aspettate, mi aggrego anche io”-
Annette.

E ci si ritrova per caso, di nuovo tutti insieme, come se fossimo il cast di una reunion, con chi è rimasto solo, con chi porta il resto della famiglia, coi bambini che ridono di là, mentre noi beviamo rucolino ischitano, giochiamo a nomi-cose e bestemmie creative e piano piano torno a parlare normalmente, rido, mi spavento vedendo il Matador, il compagno della Crista, arrampicarsi sul davanzale del balcone per mettere le fascette al pergolato mentre si alza un vento pazzesco, il vento che sancisce l’inizio di un inverno.

Arriva la Clara e scatta le sue fotografie in cui Ravanelli, il compagno di Regina, appare come un fantasma, mentre  imprechiamo fantasiosamente, cercando nomi astrusi, città sfigate e c’è chi sostiene che Salvador Sobral, vincitore dell’Eurovision 2017, non sia un personaggio famoso tentando di declassare il mio punteggio.

E Regina non sa chi sia Robert Zemeckis.

E rientrare di nuovo a casa e appoggiarsi di nuovo alla porta ha un sapore diverso.

E anche se i rimpianti si radunano come vecchi amici, se c’è una cosa che non rimpiango oggi è di essere riuscita nell’impresa di ridere dei miei rimpianti con i vecchi amici.

E di essermi scrollata un demone di dosso, pronta a riunirmi con me stessa.

 

 

 

 

P.S. Ci si rivede tra due martedì 😉

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6 commenti su “Tinder ai tempi della reunion #2

  1. … e dopo che scava sembra si diverta a vedere la sua figura riempirsi di altro letame.
    come l’involontario avanzamento di un verme che occhieggia prima di ricordare la sua origine.
    La cosa buffa è che si torna sempre lì, ai buoni propositi puntualmente disattesi, al trovare un motivo per non aizzare i cani contro qualcuno, alla forma di una civiltà che, evidentemente, è spesso sopravvalutata.
    Se dentro di te c’era l’urlo di un vulcano, dovresti inghiottirlo e guardarlo liquefarsi.
    E poi tornare fuori a cantare in posti improbabili contro cieli impossibili e angeli che meritano di morire,
    continuando a rimproverare il cerchio magico che ti abbraccia, per colpe piccole e imperdonabili.
    Giocando a chi era più rincoglionito, anche prima che Brezsny ci deducesse i destini …

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